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CARLO LEVI - IL VOLTO DEL NOVECENTO
CARLO LEVI "Il volto del novecento" 100 opere di Carlo Levi fra pitture e...

19/08/2013
 
 


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Costa Giovanni
MONOGRAFIE » Artisti dalla A alla F

 
   
FOTO PRESENTI 8
 
Costa Una sera in maremma
Costa Giovanni
COSTA UNA SERA IN MAREMMA
1855 olio su tavola, cm 10,6x27,5 Sulla base dell'affinità di quest'opera con il dipinto conservato presso Castle Howard, esposto alla New Gallery nel 1890 con il titolo Bocca d'Arno (1889), Nicholls avanza già nel 1982 l'ipotesi di un'ambientazione sul litorale toscano, finchè, a seguito di uno studio ulteriore dell'architettura raffigurata sullo sfondo, lo stesso Nicholls conclude trattarsi della località costiera presso il fortino lorenese di Bocca d'Arno, dove, tra l'altro, l'artista ricorda nelle sue memorie di essersi intrattenuto ospite presso i doganieri intorno al 1856. L'impegno di Nino Costa a Marina di Pisa si sostanzia di una ricerca cromatica e atmosferica, tesa ad accentuare la nota suggestiva di tale località, come in questo effetto di tramonto, in cui l'intonazione del cielo ripete la gamma dorata della vegetazione costiera, se pure in una gradazione più luminosa, a conferma di quanto l'artista si concentrasse su questioni specificamente tecniche e ne discutesse con gli allievi che lo assistevano nei suoi itinerari. L'influenza dell'artista romano in Toscana, identificata da Cecioni come "la pagina più bella e più importante della vita artistica del Costa" (Cecioni 1905, p. 327) viene a coincidere con indicazioni di carattere stilistico oltre che espressivo, secondo quanto riferisce più tardi Antonio Discovolo: "A un tratto si fermò e con lo sguardo rivolto verso al cielo, disse: "Vedete lassù, sotto quell'azzurro, c'è il rosso, come c'è il sangue sotto la nostra pelle. Ricordatevene quando dipingete. La preparazione di un dipinto è di grande importanza" (Discovolo 1983, pp. 63-64).
Costa Nello Studio
Costa Giovanni
COSTA NELLO STUDIO
Costa Bellezza Orientale
Costa Giovanni
COSTA BELLEZZA ORIENTALE
Costa Paludi pontine,
Costa Giovanni
COSTA PALUDI PONTINE,
olio su tavola 40x76
Costa campagna romana
Costa Giovanni
COSTA CAMPAGNA ROMANA
Nino Costa,Ripa grande,
Costa Giovanni
NINO COSTA,RIPA GRANDE,
1848, olio su tela, 10x35,5. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
A passeggio col cagnolino
Costa Giovanni
A PASSEGGIO COL CAGNOLINO
www.artesuarte.it/articolo.php?id=518&mn=
Costa A bocca d'Arno
Costa Giovanni
COSTA A BOCCA D'ARNO
   
Nino Costa entrò presto in rotta con la famiglia, che era di tradizione rigidamente cattolica e filopapale, e che non poteva accettare né la sua volontà di fare il pittore, non per diletto, ma per professione, né il suo patriottismo filoitaliano e contrario al governo pontificio,e tantomeno il suo dichiarato ateismo. Uscito dal collegio, Costa cominciò a studiare disegno con il Durandini, poi, dal 1845 frequenta lo studio del Camuccini, e, iscrittosi alla Accademia segue i corsi del Coghetti e del Massabò, e infine del Podesti. Nessuno di costoro lo contenta, avvertendone i legami con visioni artistiche ormai superate.

Nel 1848, durante il breve idillio politico fra i patrioti italiani e il papa Pio IX, Costa si arruola nella Legione Romana e combatte nel Veneto. Tornato a Roma dopo l'infelice esito della guerra, riprende a studiare pittura col Massabò; ma costituitasi la Repubblica Romana, dopo la fuga del papa a Gaeta, riprende le armi, difendendo la città dai francesi e militando nello stato maggiore di Garibaldi. Caduta la repubblica, per sfuggire alla ritorsione pontificia, Nino Costa si rifugia all'Ariccia, e comincia a dipingere in campagna dal vero, spingendosi fino alla Sabina, e, in direzione opposta, verso Albano e il mare.

E' in questa libera attività ispirata alla bellezza ora selvaggia, ora idillica del paesaggio laziale, che si forma il linguaggio personale, luminoso e realistico della sua pittura, per spiegare il quale occorre supporre, accanto alle sue doti innate, la conoscenza di quanto era già stato realizzato a Roma dalla vivace colonia di artisti internazionali, dai pensionaires francesi di villa Medici, ai Danesi, ai tedeschi, o ai pittori scandinavi e dei Paesi Bassi, come Pitloo, Vervloet e Dahl, che Costa potè meglio conoscere, loro stessi o le loro opere, recandosi, come fece, a disegnare e a dipingere a Napoli e in Campania. All'Ariccia invece fu certamente in contatto con la Colonia tedesca, e, fra l'altro, dovette incontrarsi attorno alla metà del secolo anche con BÖcklin. Ultimo, ma fondamentale incontro per gli sviluppi futuri della sua carriera fu quello con Leighton e con il Mason, due artisti inglesi che, specie il primo, furono il grande tramite fra Nino Costa e il mondo anglosassone.

I risultati degli anni di lavoro fra le due guerre di indipendenza furono tutta una serie di studi dal vero, dipinti senza alcuna convenzione tradizionale, e liberi sia da ipoteche romantiche che da classiche rielaborazioni ideali; e forse il più importante quadro di quel momento fu le "Donne che portano la legna al porto di Anzio", destinato, quasi dieci anni più tardi, a figurare nella Esposizione Nazionale del 1861 a Firenze, ed oggi conservato a Roma nella Galleria d'Arte Moderna a Valle Giulia. Sono molto caratteristici di queste opere eseguite nel sesto decennio i formati rettangolari allungatissimi, certo suggeriti dai larghi e piatti orizzonti di certa campagna fra Roma e il mare.

Scoppiata la guerra nel 1859, Costa si arruola volontario nel reggimento Aosta Cavalleria, e, nel raggiungere per mare il Piemonte, scopre le Alpi Apuane, e ne rimane affascinato a tal punto, che matura in lui la decisione di eleggere quei luoghi per dipingere e magari risiedere. Finita la guerra, dopo un breve soggiorno a Milano, si reca a Firenze, giungendovi alla fine del '59. Qui ritrova Serafino De Tivoli, vecchio commilitone della difesa di Roma, e da lui è introdotto nell'ambiente dei pittori del caffè Michelangelo. Grande fu l'importanza dell'incontro fra Costa e Fattori. Da un lato Costa, ammirando gli studi dal vero di Fattori, fatti osservando i soldati francesi alle Cascine, si rese conto delle grandi qualità del livornese, e lo spinse ad abbandonare la accademica pittura di storia e a seguirlo nel dipingere all'aperto dal vero; dall'altro Fattori accettò subito il consiglio e fu profondamente influenzato, vedendo le opere che Costa aveva recato con sé, dai soggetti, dai formati, e dal trattamento realistico basato sulla luce e sul tono. Sostanzialmente Costa funse da mediatore fra la nascente pittura realistica toscana e la luminosa arte internazionale fiorita fra il terzo e il quinto decennio dell'Ottocento a Roma, nel Lazio e a Napoli e in Campania nella scuola di Posillipo.

Tuttavia Costa non divenne mai un vero macchiaiolo. La sua cultura internazionale, i suoi numerosi viaggi all'estero, i suoi legami sempre più stretti con il mondo anglosassone, la sua stessa tecnica pittorica ricca di impasti e di piccoli, vibranti, e corposi tocchi di pennello è lontanissima dai modi della macchia toscana. Egli agì come una sorta di catalizzatore sulle energie ancora inespresse di Fattori, ma la sua pittura rimase del tutto autonoma. Semmai nel corso degli anni, per un comune sottile spiritualismo, essa si avvicinò di più ai modi del Banti, con il quale Costa aveva in comune anche la solida condizione sociale e la possibilità di compiere numerosi viaggi in Francia e in Inghilterra. Per tutti gli anni 60 Costa alternò l'attività di pittore a quella di patriota, recandosi clandestinamente da Firenze a Roma, per organizzarvi le forze antipapali.

Nel 1870, dopo che nel '67 aveva partecipato alla sfortunata impresa di Mentana, entrò finalmente fra i primi in Roma liberata e ricongiunta al regno d'Italia.

Per breve tempo svolse in città compiti politici nella nuova amministrazione Capitolina. Dal 1870 fino alla morte alternò i suoi soggiorni fra Roma e Bocca d'Arno, dove aveva acquistato una villetta, fedele alla promessa fattasi, quando per la prima volta aveva scorto le Apuane e la costa fra la foce dell'Arno e quella della magra. In questi anni strinse sempre più intensi rapporti con il mondo inglese, trovandovi buona accoglienza di pubblico e collezionisti per le sue opere. Dipinse anche nelle campagne dello Straffordshire, e tornò a frequentare il Mason e soprattutto il Leighton, con il quale, rientrato in Italia, lavorò nella zona del Golfo della Spezia.

Nel 1878 fonda a Roma il "Golden Club", più tardi nell'84 trasformato nella "Scuola Etrusca", alla quale partecipano sotto la sua guida anche pittori inglesi, come George Howard e Matthew Corbet, e Richmond, noti questi ultimi e apprezzati in Inghilterra come gli Etruscans Painters.

Nel 1887 Costa, come capo carismatico della opposizione all'arte più tradizionale e alla leziosa pittura spagnoleggiante allora di gran moda, viene cooptato come leader del gruppo che aderisce alla associazione "In Arte Libertas". Sulla fine del secolo le istanze realistiche che avevano caratterizzato i movimenti artistici degli anni '60 e '70 tendono a entrare in crisi, soppiantati da nuove tendenze spiritualistiche, estetizzanti e neoromantiche, in senso per simbolista e crepuscolare, con una ripresa di interessi per l'arte del passato, bizantina, tardomedievale e rinascimentale. Le illustrazioni della Isoatta Guttadauro di D'Annunzio ne sono un chiaro documento. Anche nella pittura di Costa, nei suoi tardi ritratti femminili, persino nella sua Ninfa nel Bosco, che, iniziata negli anni 60 sarà terminata tanto più tardi a Roma con un lento, faticoso lavoro di aggiornamento e rielaborazione, e che quasi una sorta di ponte fra il purismo di Ingres e il liberty di Sartorio, si avverte chiara la traccia del mutamento. Il 31 gennaio del 1893 Costa muore nella sua amatissima villa a Marina di Pisa. Nella pittura del Costa,oltre a un sentimento grandissimo, c'è pensiero, passione ,malinconia , solennità, gravità, delicatezza nel chiaro-scuro, onestà ed amore nella fattura, e forza nel disegno; il colorito non è mai brutale, nè urtante, ma delicato, singolare e sobrio, qualche volta strano, ma sempre armonioso e di un'armonia che dà riposo alla vista.



La Società 'In Arte Libertas'

A partire dal 1870, Nino Costa e gli artisti della sua cerchia fondarono associazioni e promossero manifestazioni espositive con l'obiettivo di contrastare tutte quelle tendenze che ­ dal Realismo, scaduto ad aneddotica veristica, alla pittura di genere, rinnovata dai virtuosismi tecnici dello spagnolo Mariano Fortuny, all'Eclettismo storico-accademico ­ avevano perso la loro funzione attiva nella società post-unitaria. In contrapposizione alla ricerca di una 'arte nazionale', linguaggio comune della nuova Italia unita, a cui partecipavano, come vedremo più avanti, gli artisti impegnati nelle decorazioni pubbliche, queste associazioni sostenevano nuove ricerche artistiche, nella pittura di storia e soprattutto nell'ambito di quella di paesaggio, aperte al confronto con alcune correnti di arte europea, in particolare inglese e tedesca. Nacquero così l'Associazione Artistica Internazionale (1870) o la Scuola Etrusca (1884), ma l'impulso maggiore al rinnovamento si deve alla Società 'In Arte Libertas', fondata a Roma nel 1885-86 dai cosiddetti artisti 'dissidenti' che si ritrovavano al Caffè Greco, da Costa e dal gruppo di artisti che avevano preso parte alle illustrazioni di Isaotta Guttadauro  di D'Annunzio, Cabianca, Carlandi, Cellini, Formilli, Morani, Ricci, a cui si aggiungevano Castelli, Pazzini, Raggio, Rossi-Scotti, Serra, Vannicola. Intento dell'associazione era di organizzare esposizioni comprendenti artisti affermati, riconosciuti come maestri ­ era il caso di Costa ­ artisti giovani e alcuni esponenti stranieri individuati come opportuni punti di riferimento e confronto. La Società, che sottolineava il diritto alla libertà di espressione artistica svincolata da pressioni ufficiali e in linea con le posizioni liberali anticlericali, si proponeva di contrastare il decadimento del gusto, legato in gran parte alla nuova committenza borghese. La prima mostra risale al 1886 e per tutti gli anni '90 le manifestazioni costituirono una reale frattura con l'ambiente accademico e ufficiale, sostenendo soprattutto la pittura di paesaggio e ogni forma del superamento del Verismo, additando un nuovo rapporto con la realtà, psicologico e simbolico. Fu così possibile ammirare per la prima volta a Roma numerose opere di artisti stranieri rappresentanti delle tendenze spiritualizzanti e simboliste europee. I pittori che esposero con diversa frequenza alle mostre della Società 'In Arte Libertas' erano animati da comuni ideali, ma liberamente perseguivano differenti poetiche. Castelli espose paesaggi della campagna romana e vedute di Tivoli, composizioni di gusto romantico, mentre Cabianca, a Roma dal 1869, introdusse nel paesaggio di impostazione macchiaiola suggestioni poetiche letterarie. Carlandi, autore di quadri storici patriottici, come la grande tela Ritorno da Mentana (1872), aveva già mostrato lo studio dal vero nelle figure e nel paesaggio. Dipingendo il quadro all'aperto in una vigna del quartiere Ludovisi, si fece interprete del senso di solitudine dell'agro romano, come in La Desolata Campagna Romana e nel Tramonto romano, esposto nel 1892 nella mostra 'In Arte Libertas'. Fra i giovani innovatori figuravano Morani e Ricci; nel primo «la pittura si stringe in fraterna alleanza con la poesia» (Angelo Conti), nel secondo si rivelano le tendenze simboliste. Nei paesaggi di Parisani prevale infine un senso di quiete, la preferenza per lunghe prospettive, per le raffinate intonazioni coloristiche di cieli autunnali. Mario De Maria ottenne un grande successo partecipando alla prima mostra con un consistente numero di opere, apparendo fra tutti il più originale interprete della pittura di paesaggio simbolista e presentando suggestivi studi sulla luce lunare. La luna sulle tavole dell'osteria fu eseguita nel 1884, suggerita dagli inquietanti effetti della luce lunare sulle tavole di una osteria romana ai Prati di Castello, dove il pittore si era recato in una notte di luna dopo che sul luogo era stato da poco commesso un delitto. Dall'impulso innovatore di 'In Arte Libertas', nacque nel 1904 la Società dei XXV della Campagna Romana, costituita da artisti che continuarono con passione lo studio della natura soprattutto nell'Agro Pontino e lungo le rive del Tevere. Il gruppo iniziale era formato da Onorato Carlandi, segretario e vera anima della società, Giuseppe Cellini, Enrico Coleman, Cesare Biseo, Ettore Ferrari, Giuseppe Ferrari, Paolo Ferretti, Alessandro Morani, Napoleone Parisani; a loro si aggiunsero in seguito altri pittori, fra i quali Sartorio, Cecconi, Raggio, Coramaldi, Grassi, Cambellotti. Frequentemente usate erano le tecniche dell'acquerello e del pastello, per meglio cogliere le suggestioni del paesaggio romano, nel variare della luce e degli effetti atmosferici.  





 
 
 

 


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