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CARLO LEVI - IL VOLTO DEL NOVECENTO
CARLO LEVI "Il volto del novecento" 100 opere di Carlo Levi fra pitture e...

19/08/2013
 
 


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Commenti dopo la prima mostra degli Impressionisti
SCRITTI D’ARTE » Approfondimenti da testi

 

La mostra si aprì il 15 aprile 1874. Doveva durare un mese, l'orario era dalle 10 alle 18 e (una novità) di sera dalle 20 alle lì. L'ingresso costava un franco, e il catalogo cinquanta centesimi. Fin dall'inizio sembra che molta gente ci andasse, ma soprattutto per ridere. Circolava la battuta che il metodo di questi pittori consisteva nel caricare una pistola con vari tubetti di colore e sparare alla tela, finendo poi con la firma. I critici ebbero commenti durissimi o rifiutarono addirittura di prendere la mostra sul serio. Il 25 aprile apparve sul « Charivari » un articolo a firma Louis Leroy, che con il titolo di Mostra degli Impressionisti riassumeva la reazione dell'autore e del grosso pubblico.
« Ah, fu un giorno duro » scrive il critico « quando mi arrischiai a visitare la prima esposizione del boulevard des Capucines insieme a Joseph Vincent, paesaggista, allievo di Bertin [professore all'Accademia], premiato con medaglia e decorato da vari governi! L'imprudente ci era venuto senza pensar male: credeva di vedere della pittura come se ne vede dappertutto, buona e cattiva, più cattiva che buona, ma che non attentasse al buon costume artistico, al culto della forma e al rispetto dei maestri. Ah, la forma! Ah, i maestri! Non ce n'è più bisogno, vecchio mio! Abbiamo cambiato tutto.
« Entrando nella prima sala, Joseph Vincent ricevette il primo colpo davanti alla Ballerina di Renoir.  Renoir La ballerina  "Peccato" mi disse "che il pittore, che pure ha un certo gusto del colore, non disegni meglio: le gambe della ballerina sono inconsistenti come la garza del suo vestito".
« "La trovo severo con lui" replicai "anzi, questo disegno è molto compatto".
« L'allievo di Bertin, credendo che facessi dell'ironia, si limitò ad alzare le spalle senza darsi la pena di rispondermi. Piano piano allora, con l'aria più innocente che potevo, lo portai davanti al Campo arato di Pissarro. Alla vista di questo paesaggio eccezionale, il brav'uomo credette che gli si fossero appannate le lenti degli occhiali. Le asciugò con cura, se le rimise sul naso. Pissaro Campo arato con bruma
« "Per Michalon!" gridò "che cos'è questo?"
« "Lo vede... Brina bianca sui solchi profondi".
« "Questi dei solchi, quella della brina?... Ma è raschiatura di tavolozza distribuita uniformemente su di una tela sporca. Non c'è capo né coda, né alto né basso, né davanti né didietro".
« "Forse   no...   ma   c'è   l'impressione« "Be', è un'impressione ben strana! Oh! e... questo?"
« "Un Orto, di Sisley. Guardi quell'alberello a destra: è allegro; ma l'impressione..."
« "Ma mi lasci in pace con l'impressione! ... Non è né carne né pesce. Ma ecco una Veduta di Melun, di Rouart, dove c'è qualcosa di singolare. Per esempio, l'ombra in primo piano è ben strampalata".
« "È la vibrazione del tono che stupisce".
« "Dica l'imbrattatura del tono e la capirò meglio. Ah, Corot, Corot, quanti delitti si commettono in tuo nome! Sei tu che hai messo di moda questa fattura sciatta, queste velature scialbe, queste zacchere davanti alle quali l'amatore si è inalberato per trent'anni e che ha accettato solo perché costretto e forzato dalla tua tranquilla ostinazione. Una volta di più, la goccia d'acqua ha forato la roccia!« II pover'uomo sragionava così con una certa compostezza e nulla poteva farmi prevedere il penoso incidente che doveva nascere dalla sua visita a questa esposizione da far rizzare i capelli. Sopportò persine senza danni di rilievo la vista delle Barche da pesca all'uscita dal porto, di Claude Monet; forse perché lo strappai a questa contemplazione pericolosa prima che le fìgu-rette deleterie in primo piano producessero il loro effetto.
« Sfortunatamente ebbi l'imprudenza di lasciarlo troppo a lungo davanti al Boulevard des Capucines dello stesso pittore.  Monet Boulevard des Capucines
«"Ha ha!" sghignazzò mefistofelicamente "eccone uno ben riuscito... Qui c'è dell'impressione, se ben me ne intendo... Soltanto, mi dica, che cosa rappresentano quelle innumerevoli linguette nere, là in basso?" « "Ma come" risposi "sono gente a passeggio".
« "Allora io assomiglierei a loro quando vado a spasso sul boulevard des Capucines?... Morte e maledizione! Ma lei mi sta prendendo in giro!" "Le assicuro, signor Vincent..." < "Ma quelle macchie sono quelle degli imbianchini che dipingono finto marmo: pif paf, plic plac! Vai con Dio! È inaudito, è spaventoso! Mi verrà un colpo di sicuro!" < Cercai di calmarlo mostrandoli Canale St. Denis di Lépine e Butte Montmartre di Ottin, entrambi di tono abbastanza fine; ma la fatalità fu più forte: I cavoli, di Pissarro, lo fermarono al passaggio e da rosso diventò scarlatto. ; "Sono cavoli" dissi con voce dolcernente persuasiva. : "Infelici, che caricature sono diventati! Giuro che non ne mangerò più per tutta la vita!" "Ma non è colpa loro se il pittore..."
   "Zitto, o faccio uno sproposito""
Tutt'a un tratto gettò un grido vedendo la Casa dell'impiccato Paul Cézanne  Cezanne La casa dell'impiccato [L'impasto prodigioso di questo piccolo gioiello completò l'opera iniziata dal
Boulevard des Capucines: il vecchio Vincent delirava.
Fu all'inizio una pazzia abbastanza tranquilla. Mettendosi nei panni degli Impressionisti, esagerava ne! senso loro.
"Boudin ha del talento" disse davanti a una spiaggia di questo artista "ma perché fa così il pignolo nelle sue marine?"
"Ah, trova che la sua pittura è troppo finita?"
"Senz'altro. Prenda invece la Morisot  Questa signorina non si diverte a riprodurre una folla di particolari oziosi. Quando deve dipingere una mano, fa tante pennellate
quante sono le dita ed è fatta.  Morisot Giochiamo a nasconderci ,Gli sciocchi che cercano il pelo nel'uovo in una mano non capiscono niente dell'arte impressiva, e il grande Manet li caccerebbe dalla sua
repubblica."
« "Allora  Renoir è  sulla  buona strada: non c'è niente di troppo nei suoi Mietitori  .Oserei dire persine che le sue figure..." « "Sono ancora troppo studiate"i « "Ma signor Vincent!... Guardi quei  tre tocchi di colore che dovrebbero   rappresentare   un  uomo nel grano".
« "Ce n'è due di troppo: uno bastava".
« Gettai un'occhiata all'allievo di Bertin: la sua faccia dava nel rosso scuro. Sentii che una catastrofe era imminente, e toccò a Monet dargli il colpo di grazia.
« "Ah, eccolo, eccolo!" gridò, davanti al n. 98 "lo riconosco, il preferito di papa Vincent!   Che cosa  rappresenta questa tela? Guardi il catalogo". « "Impressione. Levar del sole Monet Impressione, solo nascente  "Impressione, ne ero sicuro, poi mi dicevo, visto che sono impressionato,   deve   esserci   dell'impressione... e che libertà, che fac lità nella resa! La tappezzeria allo stato embrionale è ancor più finita di quella marina!"
« ... Invano   cercai   di   rianimare la sua ragione vacillante... l'orrible ormai lo affascinava.  La stiratrice  così mal stirata di Degas gli strappò grida di  ammirazione.  Persino Sisley gli sembrava  lezioso e prezioso. Per assecondare la sua maania e per paura di irritarlo cercavo gli spunti passabili in questi quadri impressione e riconoscevo senza troppa fatica che il pane, l'uva e la sedia  della  Colazione  di   Monet " erano dei buoni pezzi  di pittura», Ma egli respingeva queste concessioni.
« "No, no!" gridò "qui Monet ha un cedimento. Sacrifica ai falsi dei di Meissonier. Troppo finito, troppo finito, troppo finito!... Parliamo della Nuova Olympia, una buona  volta!  Cezanne   Una nuova Olimpia
 "  Ahimè! Andate a vederla, quella  Una donna piegata in due, cui una negra toglie l'ultimo velo per offrirla in tutta la sua bruttezza agli occhi incantati di un fantoccio bruno.Vi ricordate   dell'Olympia di Manet?
 Ebbene, era un capolavoro di disegno, a paragone di quella di Cezanne.
"Il vaso infine traboccò. Il cervello classico del vecchio Vincent,attaccato da troppi lati contemporamente, cedette in pieno. Egli si arrestò davanti alla guardia che veglia su tutti quei tesori, e prendenlola per un ritratto si mise a farne una critica severa.
« "Non è brutto?" fece, alzando le spalle. "Di faccia, ci sono due occhi... e un naso... e una bocca!... Non sono certo gli impressionisti che avrebbero sacrificato così al particolare. Con quello che il pittore ha sprecato in questa figura, Monet avrebbe fatto venti guardie!"
« "Circolare, circolare" gli disse il ritratto.
« "Sentitelo! Non gli manca nemmeno la parola! Chissà il tempo che ci ha messo a rifinirlo, quel pedante che l'ha fatto!"
« E per dare alla sua estetica tutta la serietà che le conviene, il vecchio Vincent si mise a danzare la danza dello scalp davanti al guardiano esterrefatto, gridando con voce strozzata:
« "Augh!... sono l'impressione in marcia, la spatola vendicatrice, ilBoulevard des Capucines di Monet, sono la Casa dell'impiccato e la Nuova Olympia di Cézanne! Augh! Augh! Augh!"  »
II giorno dopo l'uscita di questo articolo, il pittore Latouche scrisse al dottor Cachet: « Oggi, domenica, è il mio turno di sorvegliare la nostra esposizione. Tengo d'occhio il suo Cézanne [la Nuova Olympia] ma non garantisco della sua incolumità; ho paura che le sia restituito a pezzi ».
L'eco dell'articolo di Leroy giunse anche fuori di Francia. Quando un amico italiano ne parlò con imbarazzo a de Nittis, questi rispose da "Londra: «lo ti ripeto che non ho visto l'esposizione né ho ricevuto lettere di Degas...; però posso dirti che quando non vi fosse stato altro che i quadri di Degas, un disegno di Bragmond  e un ritratto di Mademoiselle Morisot, cose che ho visto, sarebbero bastate a giustificare il franco di entrata. Senza poi contare Pissarro, il Monet e Sisley,  i  quali  sono  paesisti che hanno delle bellissime qualità e di molto interesse. Questi sono attaccati, ed a ragione, per assomigliarsi tra loro un po' troppo perché  tutti  dipendono  da  Manet, e qualche volta arrivano ad essere informi, tanto è in loro predominante la sola macchia del vero. Questi sono gli eccessi della loro scuola, ma ciò non vuoi dire che si possa giudicare, vagliando tutto senza darsi la pena di esaminare... ».
Preoccupata evidentemente delle recensioni, la madre di Berthe Morisot chiese all'antico maestro della figlia, Guichard, amico di Corot, di andare alla mostra e di farle un resoconto. La risposta non si fece aspettare. « Ho visto le sale di Nadar » egli scrive « e vorrei comunicarle subito la mia sincera impressione. Quando entrai mi sentii angosciato a vedere le opere di sua figlia in quell'ambiente deleterio. Mi dissi: "Non si vive impunemente tra i pazzi. Manet aveva ragione a opporsi alla sua partecipazione". A esaminarli e analizzarli coscienziosamente, si trovano qua e là degli ottimi frammenti, certo, ma hanno tutti più o meno la mente strabica ». E come amico e come pittore, Guichard consigliava a Berthe Morisot di rompere definitivamente « con la cosiddetta scuola del futuro ».Naturalmente la pittrice non fece nulla del genere, ma sembrò assodato che Duret e Manet avevano avuto ragione nello sconsigliare una esposizione indipendente. Proprio nel momento in cui Durand-Ruel non era in grado di aiutarli, e un successo finanziario era ancor più importante del prestigio, il gruppo non si era guadagnato che del ridicolo. E non fu una consolazione sapere che Manet non se l'era passata molto meglio al salon, perché la giuria aveva accettato solo la sua Ferrovia  e un acquerello (Èva Gonzalès fu respinta). Ma peggio, i critici non mancarono di collegare Manet al gruppo malgrado i suoi tentativi di prendere le distanze.Il risultato non sarebbe stato molto diverso se egli avesse esposto davvero con loro. Un critico americano, confondendo una volta di più Manet con Monet, informò i lettori dell'« Appletons' Journal » che l'autore di uno « spaventoso scarabocchio » al salon, chiamato Ferrovia e rappresentante una ragazza e una bambina, « entrambe come ritagliate in un foglio di alluminio », aveva esposto due quadri, Colazione e Boulevard des Capucines, a « quella comicissima mostra, messa su dalla Società Anonima pittori e scultori ». Aggiungeva che erano « due dei più assurdi scarabocchi in quella ridicola collezione di assurdità » Pur evitando «luesto errore, uno dei più noti recensori parigini del salon non potè farne a meno di affermare: «II signor Manet è di quelli che sostenerono che in pittura si può e si deve accontentarsì dell'impressione. Di questi impressionisti abbiamo visto una mostra in boulevard des Capuciines, presso Nadar. I signori Monet (un Manet più intransigente), Pissarro, la signorina Morisot, ecc., sembrano dichiarare guerra alla bellezza ».
Per Manet dovette essere particolarmente umiliante vedersi rifiutare due tele su tre proprio nel momento in cui gli altri aprivano la loro mostra senza giuria. Nonostante le osservazioni sarcastiche di Degas sulla sua « vanagloria ostinata », la costanza di Manet nell'esporre al salon non era dettata soltanto dalla sete di onori. Come Cézanne, nel 1866, aveva richiesto a gran voce un nuovo salon des refuses, col rischio di trovarvisi da solo, così Manet era deciso a non abbandonare l'esposizione ufficiale malgrado la minaccia di trovarsi, come rappresentante delle nuove tendenze, completamente isolato. Leader, di nome, del gruppo di Batignolles, era tuttavia pronto a fare da solo la sua strada, pur di non essere accusato di abbandonare il suo campo di battaglia. Per lui la rivincita vera e definitiva poteva venire solo dal salon. Che gli altri condividessero o no le sue idee, non si può negare che per un uomo della statura di Manet ci voleva del coraggio a sottomettersi perennemente al giudizio di una giuria ostile nelle cui mani era, se non il suo talento, almeno la sua reputazione. E questa giuria, ovviamente adirata per il suo successo dell'anno precedente, arrivò quasi a chiudergli le porte del salon del 1874.
Oltre ad alcuni amici fidati tra i critici, che protestarono per l'iniqua decisione della giuria, in difesa dell'artista intervenne una voce nuova, quella del recente amico Stéphane Mallarmé, allora relativamente sconosciuto, che così chiudeva il suo articolo, su un periodico tutt'altro che diffuso: « La giuria non deve dire altro che: "Questo è un dipinto" oppure "questo non è un dipinto". Non ha il diritto di nasconderli. Non appena certe tendenze, fino allora latenti nel pubblico, trovano in un pittore l'espressione artistica o la bellezza, è necessario che il pittore sia presentato al pubblico; non presentare l'uno all'altro è trasformare un errore in un'ingiustizia e in una menzogna... La gente, cui non si può nascondere nulla perché tutto ne deriva, si riconoscerà in seguito nell'oeuvre accumulata e sopravvissuta, e il suo distacco dalle cose passate sarà allora tanto più assoluto. Portar via qualche anno a Manet, che squallida aspirazione! ».
Per il momento, tuttavia, la gente, giudice supremo in un futuro indefinito, parteggiava inequivocabilmente per la giuria. E al salon c'era una folla vera e propria. Zola doveva poi calcolare che il numero dei visitatori quotidiani era tra gli 8.000 e i 10.000 e che per tutta la durata dell'esposizione si raggiunse un totale di 400.000 persone. Queste masse guardarono circa 4.000 opere d'arte, in mezzo alle quali i dipinti di Manet erano degli « intrusi » e apparivano doppiamente ridicoli in confronto ai vicini, che più o meno lusingavano il gusto deteriore. Non c'è dunque da sorprendersi se Zola accolse con piacere la decisione di « un gruppo di pittori, esclusi ogni anno dal sa-Ion... di organizzare la propria esposizione. È un'iniziativa ragionevole e non si può che applaudirla ».
Ma i visitatori della mostra collettiva furono, è chiaro, assai meno numerosi. Dai 175 del primo giorno calarono ai 54 dell'ultimo; di sera le presenze erano tra le dieci e le venti, ma certi giorni non superarono le due. Su un arco di quattro settimane, 30.500 persone in tutto visitarono la mostra, molte delle quali motivate dalla curiosità più che dal desiderio di studiare seriamente le opere esposte.
Anni dopo, Zola doveva descrivere in un romanzo l'atmosfera di una mostra risonante degli sberleffi dei cercatori di curiosità: « Le risate non erano più soffocate dai fazzoletti delle signore, e gli uomini dilatavano il ventre per poterle sfogare con più agio. Era l'ilarità contagiosa di una folla venuta per divertirsi, che a poco a poco si eccitava, esplodeva per nulla, si accalorava tanto per le cose belle che per quelle spregevoli... Si davano di gomito, si piegavano in due... ogni tela era oggetto di valutazio-ne, la gente si chiamava per additarsene una buona, battute spiritose passavano di bocca in bocca... esprimendo la somma totale di asinità, commento assurdo, scherno cattivo e stupido che un'opera originale può estrarre dall'idiozia borghese ».
« La coscienza pubblica era indignata » ricordò più tardi un critico. « Erano cose orrende, stupide, sporche; era pittura priva di senso comune ». Di conseguenza molti dei cosiddetti critici seri rifiutarono di recensire la mostra. Se la citarono fu per deriderla. « Dobbiamo parlare del signor Cézanne? » scrisse uno di loro. « Di tutte le giurie a noi note, nessuna si immaginò mai, nemmeno in sogno, la possibilità di accettare opere di questo pittore che soleva presentarsi al salon portandosi i quadri sulle spalle come Gesù con la croce. Un amore troppo esclusivo per il giallo ha finora compromesso il futuro di Cézanne ».
Mentre molti critici in vista preferirono tacere, vari amici dei pittori, compresi Philippe Burty e Ar-mand Silvestre, scrissero recensioni favorevoli. Ma nemmeno loro si permisero elogi incondizionati. Silvestre, per esempio, descrisse poeticamente le opere, dicendo: « Una luce bionda le bagna e tutto è gioia, splendore, festa di primavera, sere dorate, meli in fiore. Le loro tele, di modeste dimensioni... sembrano aprire finestre su una campagna allegra, sul fiume percorso da battelli frettolosi, sul ciclo striato da vapori leggeri, su una gioiosa, affascinante vita all'aperto ». Ma proseguiva: « Essi non scelgono i luoghi da ritrarre con la cura dei paesaggisti tradizionali. Avviene anzi il contrario, e in questo trovo un'affettazione decisamente artificiosa. Se la giustificazione è il concetto filosofi-co che in natura tutto è di uguale bellezza, artisticamente è un'idea sbagliata, che dovrebbe dimostrare l'ampio raggio dei loro mezzi interpretativi e che invece sottolinea l'aspetto manuale della loro tecnica, rivelando così quanto immatura sia la ricerca e come sia ancora in attesa di un maestro capace di sintetizzarla, formularla, sancirla ».
Dopo aver analizzato in prevalenza le opere di Monet, Renoir, Sisley, Pissarro e Degas, alternando elogi e riserve, Silvestre concludeva con questa affermazione: « È una mostra che merita di essere vista. Avrebbe guadagnato da un minore eclettismo, se si può chiamare eclettismo l'indifferenza totale per i meriti relativi delle opere esposte. Non serve aprire le porte a chiunque non venga accettato al salon [è un'allusione a Cézanne?] perché questo non è per forza un indice di genio. Questa iniziativa cesserebbe rapidamente di essere un'autentica manifestazione artistica se si estendesse al di là della scuola specifica che è la sua raison d'etre ».
Anche Castagnary, che per avere ripetutamente espresso simpatia per le nuove ricerche e in particolare per lo studio serio della natura si era guadagnato, nei circoli conservatori, la reputazione di « spazzacamino per amore della sporcizia ». espresse qualche perplessità, ma non prima di aver salutato l'iniziativa dei pittori come un passo nella direzione giusta. Scrisse anzi, esagerando, che « allo scopo di sbarrare la strada a questi quattro giovani [Pissarro, Monet, Sisley, Re-noir] e a questa signorina [Berthe Morisot], la giuria da quattro o cinque anni infila sciocchezze, accumula abusi di potere, si compromette a un punto tale che oggi non c'è persona in Francia che osi prendere le sue parti ». Per meglio dimostrare l'ingiustizia della giuria Castagnary esclama: « Qui c'è del talento, anzi molto talento. Questi giovani hanno un modo di capire la natura che non è noioso né banale. È vivo, acuto, leggero; è una delizia. Che fulminea comprensione dell'oggetto e che pennellata divertente! E sommaria, è vero, ma come sono giuste le allusioni!
«... L'assunto comune che n, un gruppo e da loro forza collettiva in quest'epoca di dispersione : la volontà di non proporsi una esesuzione rifinita ma di fermarsi all'effetto generale. Una volta catturata l'impressione, dichiarano che loro parte è fatta... Se li si vuole defìnire con una parola sola che ne comprendi la ricerca, bisogna creare il nuovo termine di impressionisti.
Sono  impressionisti  nel  senso che rendono non un paesaggio ma la sensazione  che un  passaggio  produce"




 
 
 

 


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