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2024
Centro Europeo del Restauro di Firenze
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Nuova mostra


CARLO LEVI - IL VOLTO DEL NOVECENTO
CARLO LEVI "Il volto del novecento" 100 opere di Carlo Levi fra pitture e...

19/08/2013
 
 


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Verismo
PITTURA » Periodi

 
   
FOTO PRESENTI 21
 
Giovan Battista Crespi detto il Cerano
Verismo
GIOVAN BATTISTA CRESPI DETTO IL CERANO
La caduta di San Paolo
bartolomé Esteban Murillo, Piccoli mendicanti giocano ai dadi, 1665-75
Verismo
BARTOLOMé ESTEBAN MURILLO, PICCOLI MENDICANTI GIOCANO AI DADI, 1665-75
, olio su tela, 140x108. Monaco, Bayerische Staatsgemäldesamm-lungen.
Verismo
"THE LAUNDRESS", C. 1736, CANVAS,
Pinacoteca Tosio-Martinengo, Brescia
Giuseppe Palizzi, Carbonai nella foresta di Fontainebleau, 1867 ca.,.
Verismo
GIUSEPPE PALIZZI, CARBONAI NELLA FORESTA DI FONTAINEBLEAU, 1867 CA.,.
olio su tela, 64x102,5, bozzetto. Napoli, Museo di Capodimonte
Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo
Verismo
QUARTO STATO DI GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO
un olio su tela del 1901, 285x545 cm,
Giovanni Segantini, Ritorno all'ovile, 1888,
Verismo
GIOVANNI SEGANTINI, RITORNO ALL'OVILE, 1888,
olio su tela, 79,5x133. St. Gallen, Otto Fishbacher Stiftung.
Emilio Longoni, Il ritorno dal bosco, 1883-84,
Verismo
EMILIO LONGONI, IL RITORNO DAL BOSCO, 1883-84,
olio su tela, 67x120. Collezione privata.
Emilio Longoni, La piscinina, 1889-90,
Verismo
EMILIO LONGONI, LA PISCININA, 1889-90,
olio su telLa piscinina piaceva agli artisti, al pubblico più tradizionale, alla critica moderata come a quella d'ispirazione socialista in virtù della grazia, del soggetto, della sua profonda 'milanesità', della non aggressività della proposta sociale pur innegabilmente sottesa alla sobria evidenza plastica della figura. Al momento della sua presentazione a Brera nel 1891, i commenti rispecchiavano questo particolare fascino 'urbano' del dipinto, nonché la sua aderenza al dato reale; così nella Cronaca dell'Esposizione il critico Luigi Chirtani: «La Piscinina, ­ che per la simpatia del soggetto, tipicamente milanese, per la pittura, d'una singolare evidenza, per la grazia ond'è vivificata la figura di fanciulla ­ ha uno dei maggiori successi presso i visitatori [...] è il tipo perfettamente milanese della apprendista sarta o modista che noi vediamo per le nostre vie [...]. Il Longoni ha voluto rappresentare il suo tipo nell'ambiente naturale in cui lo vediamo, sotto i portici della Galleria mentre se ne va con passo lesto [...] Non c'è in tutta l'Esposizione un figura che cammini veramente come questa».a, 126x71. Collezione privata
Luigi Steffani, Una risaia, 1864,
Verismo
LUIGI STEFFANI, UNA RISAIA, 1864,
olio su tela, 94x158,5. Milano, Galleria d'Arte Moderna.
Giovanni Segantini, L'aratura, 1886-90,
Verismo
GIOVANNI SEGANTINI, L'ARATURA, 1886-90,
olio su tela, 116x227. Monaco, Neue Pinakothek.
Giovanni Segantini, La raccolta delle patate, 1886,
Verismo
GIOVANNI SEGANTINI, LA RACCOLTA DELLE PATATE, 1886,
olio su tela, 115x220. Collezione privata
Giovanni Segantini, La raccolta delle patate, 1886
Verismo
GIOVANNI SEGANTINI, LA RACCOLTA DELLE PATATE, 1886
, olio su tela, 115x220. Collezione privata
Egisto Ferroni, Torna il babbo,
Verismo
EGISTO FERRONI, TORNA IL BABBO,
1883, olio su tela, 137x87. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
Arnaldo Ferraguti, Gli emigranti,
Verismo
ARNALDO FERRAGUTI, GLI EMIGRANTI,
1905, tempera e pastelli su cartone, 35,5x37,5. Collezione privata.
palizzi giuseppe Il taglialegna
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PALIZZI GIUSEPPE IL TAGLIALEGNA
Giuseppe Palizzi, L'accampamento di zingari,
Verismo
GIUSEPPE PALIZZI, L'ACCAMPAMENTO DI ZINGARI,
1845, olio su tela, 89x115. Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti.
Teofilo Patini, Vanga e latte,
Verismo
TEOFILO PATINI, VANGA E LATTE,
1883, olio su tela, 213x372. Roma, Ministero dell'Agricoltura. Il tema dell'aratura
Teofilo Patini, L'erede,
Verismo
TEOFILO PATINI, L'EREDE,
1880, olio su tela, 100x142. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna.
Longoni ladruncolo 'Ragno'
Verismo
LONGONI LADRUNCOLO 'RAGNO'
LaIl scena si svolge sotto l'ottagono della Galleria Vittorio Emanuele e rappresenta una larga finestra del Caffè Biffi. Protagonista di questa fulminante visione urbana, quasi un'istantanea fotografica di dimensioni dilatate in cui il Verismo sociale dispiega le sue potenzialità espressive attraverso la tecnica divisionista, è il 'Ragno', giovane e abilissimo ladruncolo di cui parlarono le cronache cittadine dell'epoca. La figura dell'affamato è condotta con una vigorosa tecnica 'mista' a largo impasto cui si sovrappongono tratti di colore puro
Stefano Bruzzi, Passo difficile,
Verismo
STEFANO BRUZZI, PASSO DIFFICILE,
1870, olio su tela, 132x89. Piacenza, Galleria Ricci Oddi.
Mentessi Giuseppe
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MENTESSI GIUSEPPE
   
  Pittori e scultori, accanto a scrittori e poeti, affrontarono il tema sociale trasformando i soggetti di genere in opere di denuncia. Tuttavia, fin da una data precoce si erano delineate nel Verismo sociale diverse 'anime' che corrispondevano a diversi atteggiamenti del pubblico e della critica: da un lato c'erano opere legate almeno dal punto di vista iconografico al Genere, apprezzate anche dal pubblico tradizionale ma limitate da temi di tono minore e aneddotico; dall'altro composizioni riferite alle condizioni di vita del popolo, di un realismo crudo, prive di edulcorazione formale, solitamente realizzate con dimensioni 'al vero' e il più delle volte respinte dalla critica e dal mercato; inoltre, godettero di una discreta fortuna opere riferibili a un terzo filone di gusto classicheggiante, sospese tra la grande composizione di storia e il monito morale. Tali suddivisioni, all'interno delle quali si potrebbero proporre mille altre sfumature, vennero meno o comunque sembrarono oscillare negli ultimissimi anni del secolo, quando la spinta fino ad allora indefinita del disagio sociale si tramutò in programmata lotta politica e quando sul versante artistico varcò le Alpi il Simbolismo imponendosi al pubblico e agli artisti con l'urgenza di una moda e l'evidenza di una necessità poetica. Ma per comprendere questi esiti, è bene tornare ai primi filoni veristi, che a partire dagli anni '30 posero le premesse di questo genere artistico.   Si deve a Giuseppe Molteni, apprezzato ritrattista dell'aristocrazia e dell'alta borghesia del Regno lombardo-veneto, una delle nostre prime tele ottocentesche in cui un personaggio del popolo è protagonista a tutto tondo della composizion    
La  iconografia del lavoro

Dalla seconda metà del secolo e soprattutto dopo l'unificazione nazionale, l'attenzione per il 'vero' e per i modi della sua rappresentazione occupò anche in Italia un posto di primo piano nel dibattito culturale investendo ambiti diversi. La diffusione, sia pure con qualche anno di ritardo, della letteratura realista francese e della nuova pittura a soggetto sociale di Gustave Courbet e Jean-François Millet si innestò quindi in un terreno già pronto ad accogliere quelle proposte di rinnovamento, per certi versi rivoluzionarie.
  Gli artisti, anche in Italia, si avvicinavano alla nuova realtà segnata dall'industrializzazione e dalla crisi delle campagne, dunque alla 'questione' per eccellenza: la questione sociale. Problema che nei primi decenni dell'unità italiana, con le conseguenti trasformazioni sociali e politiche del paese, avrebbe coinvolto in un ampio dibattito fasce sempre più larghe di intellettuali, assieme alla nostra letteratura verista, da Giovanni Verga a Luigi Capuana. All'iconografia del lavoro e dei lavoratori si sarebbero aggiunti d'ora in poi nuove invenzioni e temi, da quello della solidarietà sociale legato al sorgere delle prime Società di Mutuo Soccorso ­ come nel precoce dipinto del fiorentino Giuseppe Moricci, L'artigiano cieco e la sua famiglia, datato 1851 ­ al sobrio invito all'istruzione popolare, come nell'apologo moralistico narrato dal piacentino Francesco Ghittoni in Studio e lavoro.  Giuseppe Palizzi e la pittura francese A scardinare, soprattutto dal punto di vista formale, le regole della pittura accademica che ancora guidavano la mano dei nostri pittori orientati verso temi veristi, contribuì in modo radicale il diffondersi della conoscenza dell'opera degli artisti francesi, soprattutto dei dipinti di Gustave Courbet e Jean-François Millet. Iconograficamente innovativi, di sicura presa nell'evidenza narrativa delle scene rappresentate e totalmente liberati dalla rigidità un po' teatrale riscontrabile nelle scene di genere ancora debitrici alla grande pittura di storia, i dipinti francesi celavano dietro a una apparente semplicità della composizione una visione rivoluzionaria delle motivazioni stesse del fare arte, divenendo così ­ almeno per i nostri artisti più consapevoli ­ modelli etici oltre che prototipi pittorici. I grandi dipinti di Courbet, al pari delle pagine più crude dei romanzi di Balzac e Zola, erano giudicati 'volgari' dai più; il tema centrale del lavoro e della fatica fisica che pesa su uomini e donne, privato da ogni apparente speranza di riscatto sociale e morale, così come da ogni 'bellezza' di gesti e di corpi, rendeva quei temi intollerabili agli usuali fruitori della produzione artistica ufficiale. In realtà, le sperimentazioni dell'arte francese, filtrate inizialmente in Italia tramite la pittura paesaggistica della Scuola di Barbizon, costituirono un forte richiamo per molti dei nostri pittori. Tra questi il giovane Giuseppe Palizzi, abruzzese di nascita ma napoletano di formazione, che nel 1845, a 33 anni, si trasferì a Parigi dove visse fino alla morte; la sua pittura ebbe allora una svolta radicale destinata a ripercuotersi su tutta la successiva pittura napoletana. Giuseppe Palizzi, Il taglialegna, 1886, olio su tela, 90x117. Napoli, Accademia di Belle Arti Negli stessi decenni e in contesti geografici diversi altri artisti affrontavano l'en plein air e l'inserimento della figura nell'elemento naturale, senza nulla concedere all'aneddoto e al Genere. Tra questi, il veneto Luigi Nono, della cui adesione ai canoni del Verismo attraverso i precoci contatti diretti con Michele Cammarano reduce dalla sua esperienza fiorentina, abbiamo un convincente esempio nella Fanfara dei granatieri, databile alla metà degli anni '70 Attraverso questi fertili scambi, il Verismo divenne linguaggio figurativo nazionale, trasversale ai vari temi iconografici. Gli artisti saggiarono dapprima le potenzialità del linguaggio verista nelle rappresentazioni di paesaggio o comunque legate al Naturalismo, per poi individuare soggetti specifici la cui stringente aderenza con la realtà locale, contadina o urbana, si faceva sempre più forte. Il Verismo come genere artistico non si caratterizza quindi con una stretta cronologia o con un gruppo di pittori a esso legati in modo esclusivo, quanto piuttosto per la scelta di certi particolari temi operata da artisti disparati. Per questo, ripercorrere la sua avventura nel panorama del nostro Ottocento vuol dire procedere per temi, scelti come privilegiata chiave di lettura diacronica  



  'Riflessioni di un affamato' di Emilio Longoni: miseria e classi sociali tra Verismo e Divisionismo Grande tela 'al vero', sospesa tra veduta urbana e denuncia, Riflessioni di un affamato (un olio su tela del 1894, di 190x155 cm, conservato nel Museo Civico di Biella) segna il punto più alto dell'impegno sociale nella pittura di Emilio Longoni, che tra il 1887 e il 1897 elabora e svolge una propria iconografia dello sfruttamento, della miseria e della lotta delle classi popolari milanesi. Riflessioni è un dipinto ancora oggi di grande impatto visivo, nel quale la tecnica divisionista ormai matura si piega alle esigenze dell'artista, virtuosistica nella resa dell'appannata atmosfera luminosa dell'interno e più libera nella figura scavata del giovane affamato. Longoni inoltre costruisce questo magistrale dipinto con una struttura compositiva che sarà ricorrente nella sua produzione, vale a dire con l'uso del controcampo (di esterno e interno, luce e ombra, figura e paesaggio, figura e interno, ottenuto con un passaggio netto tra i due piani principali).
Il dipinto fu per molti anni l'opera di Longoni più discussa e citata dalla critica, oggetto di dibattito fin dal momento in cui venne esposta alla Triennale di Brera del 1894; Riflessioni è dunque, ancor più della Piscinina  del più esplicito Oratore dello sciopero  esposti alla precedente edizione della Triennale, il dipinto con il quale Longoni allo scorcio del secolo fa parlare di sé i suoi contemporanei. I temi sociali nell'Italia meridionale La svolta decisiva da una pittura verista ancora legata al Genere e a una visione romantica della natura all'arte sociale propriamente detta, prese avvio in Italia dalle regioni meridionali tra il 1880 e il 1885, ovvero dalle drammatiche condizioni di vita del lavoratore agricolo nel latifondo. Proprio nel 1880, inoltre, la 'questione sociale' entrò ufficialmente nel mondo dell'arte e della critica con la presentazione alla IV Esposizione Nazionale di Belle Arti tenutasi a Torino, di una scultura intitolata Proximus tuus, opera del napoletano Achille D'Orsi, artista che già qualche anno prima aveva suscitato molte polemiche per una composizione in creta, I parassiti, non aliena da riferimenti sociali. Tutti i giornali che si occupavano di questioni artistiche presero posizione nei confronti della nuova composizione di D'Orsi che con la cruda rappresentazione verista di un contadino, a terra, tramortito dalla fatica, impressionava il pubblico in visita alla rassegna. Le cronache riportano inoltre che, per accentuare l'effetto drammatico e in chiara polemica con gli squillanti quadri di genere ­ allora di gran moda ­ cui era delegato il compito di raffigurare gli umili, la scultura fosse stata coperta dall'artista con una mano di vernice grigia. La critica oscillava tra la completa accettazione dell'opera, sia dal punto di vista del contenuto sia da quello formale, e il rifiuto del soggetto, considerato volgare, fermo restando l'apprezzamento per l'abilità tecnica dimostrata dall'artista. Sul versante pittorico e negli stessi anni, fu soprattutto Teofilo Patini ­ aquilano di origine ma attivo a Napoli ­ a ribaltare la tradizionale trascrizione figurativa del lavoro dei campi come 'idillio campestre' in una sconvolgente epopea della miseria, resa ancora più verosimile dalle imponenti dimensioni delle sue composizioni: veri e propri 'quadri di storia', dove i protagonisti non sono più personaggi in costume di epoche più o meno lontane, bensì uomini e donne reali, testimoni di una sconfitta della storia.   Opere come la trilogia sui temi dell'emarginazione nella realtà contadina del Mezzogiorno, composta da L'erede, Vanga e latte, Bestie da soma  si distaccano profondamente dalla maggior parte dei dipinti coevi, ugualmente narrativi e ispirati al lavoro contadino, ma pervasi da una visione positiva del rapporto tra uomo e natura; valga per tutti il confronto con le tele più significative di un pittore come Egisto Ferroni, ugualmente partecipe della necessità della scrupolosa osservazione del vero, eppure così distante dalla lettura drammatica propostane da Patini. I suoi contadini stracciati, dai corpi segnati e stravolti dalla fatica, sono gli eredi di quelli raffigurati da Giuseppe Palizzi, ma ormai, negli anni '80, vanno a sommarsi alla massa di diseredati che dal nord al sud della penisola si accalcano ai margini della prima industrializzazione, umiliati anche dal fallimento ora diffusamente avvertito degli ideali risorgimentali e preunitari. Il tema dell'aratura All'Esposizione di Brera del 1865 il bergamasco Luigi Steffani presenta L'aratro, che con Risaja ­ proposto l'anno precedente ­ forma un dittico di gusto realista sul tema del lavoro contadino. Entrambi i dipinti avevano suscitato vivo interesse nella critica che ne aveva anche evidenziato il legame con la pittura francese, specie la scena d'aratura, di più incisivo realismo rispetto all'altra grazie alla centralità riservata al gruppo dei contadini e degli animali al lavoro, collocati su un piano prospettico molto più ravvicinato rispetto alle mondine di Risaja.    Luigi Steffani, Una risaia, 1864, olio su tela, 94x158,5. Milano, Galleria d'Arte Moderna.
  Questa scelta compositiva riduce il peso dell'elemento paesaggistico in favore di quello umano e viene così a spezzare le divisioni accademiche tra i generi: pittura di paesaggio, di figura, di animali e così via. Dal decennio successivo L'aratura divenne titolo e soggetto di una fitta serie di dipinti di autori diversi, in cui lo spunto paesaggistico è sempre meno evidente rispetto alla valenza sociale del tema. Tra il 1870 e il 1875 Stefano Bruzzi ambientava la fatica dell'uomo e degli animali nell'aspro paesaggio dell'Appennino piacentino; la tela venne giudicata ancora troppo tradizionale da Diego Martelli, con cui il pittore aveva contatti fin dal 1864. Eppure, nella scabra scena di aratura come nel coevo Passo difficile, Bruzzi raggiunge esiti pittorici tra i più alti del Verismo italiano del suo tempo: il soggetto è reso con lucida obbiettività, fissato in un'atmosfera cristallina e immobile, in pieno sole, composto secondo efficaci linee prospettiche diagonali che rendono pressante il ritmo narrativo. Stefano Bruzzi, Passo difficile, 1870, olio su tela, 132x89. Piacenza, Galleria Ricci Oddi. Vent'anni dopo, nel 1894, la parte centrale dell'Aratura del miazzinese Achille Tominetti esposta alla seconda Triennale di Brera venne riprodotta su Il Primo Maggio della Lotta di Classe, giornale del Partito Socialista Italiano, accompagnata da All'aratro, una poesia composta da Ada Negri (che firmava con lo pseudonimo di 'Una donna'), ispirata dalla forza di denuncia del dipinto nel quale l'aratro è tirato da due contadine «bestie da pungolo e da soma». Tra questi due estremi cronologici e iconografici, si collocano tele di differente qualità pittorica ma tuttavia unite dal tema comune; dalla grande Aratura di Segantini, dove esseri umani e animali sono umili protagonisti della stessa lotta per la vita, magistralmente inseriti in una composizione di vasto respiro prospettico, al diligente e descrittivo Sul campo di lavoro  del milanese Enrico Bartezago che nel 1890 si aggiudicò il premio Mylius a Brera. La realtà urbana
Nel nostro percorso attraverso i temi del Verismo e del ritratto sociale in particolare, la rigorosa evidenza analitica del bolognese Luigi Serra ci introduce a un altro fecondo ambito iconografico, legato alla nuova realtà urbana, contrapposta a quella rurale. Gli emigranti

Il tema dell'emigrazione, che abbiamo già anticipato parlando della Madre di emigranti di Alessandro Vanotti, del 1892, era comparso nelle nostre opere sociali agli inizi degli anni '80, in significativa coincidenza cronologica con i dati del terzo censimento generale del Regno d'Italia, compiuto nel dicembre 1881. Il censimento aveva rilevato un significativo aumento demografico in parte compensato dall'emigrazione, la quale proprio da allora cominciò a incidere sul movimento della popolazione in misura più notevole che in passato. Prima del 1881 l'emigrazione non aveva ancora coinvolto grandi masse di lavoratori, si rivolgeva principalmente ai paesi europei e aveva soprattutto carattere stagionale; da quella data, invece, oltre all'aumento quantitativo in termini generali ­ oltre 310 000 espatri nell'ultimo quinquennio del secolo ­ si accrebbe l'emigrazione transoceanica, con dati che rimasero molto elevati sino al 1914 e che fanno stimare in circa due milioni e mezzo il numero di emigranti per il solo ultimo ventennio dell'Ottocento. Gli artisti tradussero il disagio, la speranza, l'attesa in opere di forte impatto emotivo, tra le quali una delle più precoci è Torna il babbo eseguita nel 1883 da Egisto Ferroni che sceglie il momento felice del ricongiungimento familiare in una composizione giocata sul contrasto tra il luminoso e aperto sfondo paesaggistico e la dettagliata definizione delle figure in primo piano, di spalle e in controluce. Dal punto di vista tematico, fa da contraltare all'ottimistica interpretazione di Ferroni, Ricordati della mamma del ticinese Adolfo Feragutti Visconti, struggente addio materno a un piccolo e smarrito emigrante, consumato su un molo spoglio di ogni attrattiva aneddotica. Egisto Ferroni, Torna il babbo, 1883, olio su tela, 137x87. Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Sulla descrizione dei porti, dei moli e delle banchine dai quali partivano migliaia di emigranti indugiano invece in tempi e con esiti diversi, con intenzione documentaria o illustrativa, Angiolo Tommasi, Raffaello Gambogi e Arnaldo Ferraguti in opere che condividono l'icasticità del titolo: Gli emigranti. Il tema della sosta e dell'attesa era inoltre già stato trattato in scultura dal bresciano Domenico Ghidoni che aveva proposto il gesso grande al vero di Emigranti alla prima Triennale di Brera del 1891, contribuendo ad arricchire l'intensa galleria di opere sociali presenti alla mostra. Il dramma del morire lontano dal proprio paese natale venne invece affrontato da Giovanni Segantini con Il ritorno al paese natio, esposto e premiato alla prima Biennale di Venezia del 1895. Chiude, anche cronologicamente, la trattazione del tema, Gli emigranti o Membra stanche, capolavoro dell'ultimo Pellizza, eseguito nel 1907 e come la tela di Segantini riferito all'emigrazione contadina stagionale, in questo caso dall'Appennino alle risaie della Lomellina. Pellizza inserisce in controluce in un ampio paesaggio pianeggiante le figure dei lavoratori in riposo, cadenzate nello spazio, nei gesti e nella posa con una magistrale semplicità classica. La centina, in voga in ambito simbolista fin dalla fine dell'Ottocento, racchiude e suggella il perfetto equilibrio compositivo della tela.





 
 
 

 


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