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Il ritratto in Spagna
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FOTO PRESENTI 23
 
Coello Sanchez  Alonso L'infanta Isabella. clara eugenia
Il ritratto in Spagna
COELLO SANCHEZ ALONSO L'INFANTA ISABELLA. CLARA EUGENIA
Alonso Sánchez Coello The infantas Isabel Clara Eugenia And Catalina Micaela Museo Nacional del Prado
Bartolomé Bermejo Saint Dominic of Silos
Il ritratto in Spagna
BARTOLOMé BERMEJO SAINT DOMINIC OF SILOS
Museo Nacional del Prado
Barrugheta
Il ritratto in Spagna
BARRUGHETA
de Ribera
Il ritratto in Spagna
DE RIBERA
José de Ribera Maddalena Ventura and her Husband
Il ritratto in Spagna
JOSé DE RIBERA MADDALENA VENTURA AND HER HUSBAND
("The Bearded Woman") Toledo, Palacio Tavera. Fundación Casa Ducal de Medinaceli
Goya  duchessa lba
Il ritratto in Spagna
GOYA DUCHESSA LBA
Juan Bautista Martínez del Mazo
Il ritratto in Spagna
JUAN BAUTISTA MARTíNEZ DEL MAZO
The infanta doña Margarita de Austria Museo Nacional del Prado
El Greco    Padre Hortensio
Il ritratto in Spagna
EL GRECO PADRE HORTENSIO
El Greco Fray Hortensio Félix Paravicino Boston, Museum of Fine Arts. Isaac Sweetser Fund.
El Greco  nobiluomo
Il ritratto in Spagna
EL GRECO NOBILUOMO
Fderico de Madrazo  La contessa Vilches.
Il ritratto in Spagna
FDERICO DE MADRAZO LA CONTESSA VILCHES.
Federico de Madrazo The Condesa de Vilches Museo Nacional del Prado
Francisco de Zurbarán  Don Alonso Verdugo de Albornoz
Il ritratto in Spagna
FRANCISCO DE ZURBARáN DON ALONSO VERDUGO DE ALBORNOZ
Berlín, Staatliche Museen zu Berlin, Gemäldegalerie
Tiziano Filippo II
Il ritratto in Spagna
TIZIANO FILIPPO II
Titian Philip II Museo Nacional del Prado
Antonio Moro  Juana of Austria
Il ritratto in Spagna
ANTONIO MORO JUANA OF AUSTRIA
Museo Nacional del Prado
Francisco de Goya  Charles III as a Hunte
Il ritratto in Spagna
FRANCISCO DE GOYA CHARLES III AS A HUNTE
Museo Nacional del Prado
Bartolomé E. Murillo Four Figures on a Step
Il ritratto in Spagna
BARTOLOMé E. MURILLO FOUR FIGURES ON A STEP
Fort Worth, Texas, Kimbell Art Museum
Lopez
Il ritratto in Spagna
LOPEZ
Bartolomé E. Murillo Boy Leaning on a Sill
Il ritratto in Spagna
BARTOLOMé E. MURILLO BOY LEANING ON A SILL
Londres, The National Gallery
Velazquez Filippo  IV
Il ritratto in Spagna
VELAZQUEZ FILIPPO IV
Velazquez  Democrito
Il ritratto in Spagna
VELAZQUEZ DEMOCRITO
Velazquez Filippo IV a  cavallo
Il ritratto in Spagna
VELAZQUEZ FILIPPO IV A CAVALLO
Velazquez  donna Marianna di Austria
Il ritratto in Spagna
VELAZQUEZ DONNA MARIANNA DI AUSTRIA
Velazquez  Prospero
Il ritratto in Spagna
VELAZQUEZ PROSPERO
Picasso Donna in azzurro
Il ritratto in Spagna
PICASSO DONNA IN AZZURRO
   

Una grande mostra a Madrid tenta per la prima volta di ricostruire una storia del ritratto spagnolo dal Cinquecento all’età contemporanea
MADRID – La mostra “Il ritratto spagnolo. Da El Greco a Picasso”, al Museo del Prado fino al 6 febbraio, parte da una constatazione di fatto: fino all’Ottocento la maggior parte dei pittori spagnoli non si dedicavano alla ritrattistica, era l’arte sacra che andava per la maggiore. Nonostante questo, il genere del ritratto ha esercitato l’influenza principale nello sviluppo della pittura spagnola.
La ragione più immediata di questa sproporzione non è difficile da intuire: i ritrattisti erano sì pochi, ma fra loro c’erano pittori tra i più grandi di tutti i tempi, a partire da Velazquez e da Goya. Pochi ma buoni, insomma. Da questa ovvia considerazione però nasce un secondo interrogativo, che richiede una spiegazione più complessa: perchè i grandi pittori spagnoli eccelsero proprio nel ritratto? A inizio Novecento, sulla scia del positivismo, alcuni studiosi si posero il problema e credettero di trovarne la chiave di lettura in una presunta caratteristica spagnola, individualista e spiccatamente teatrale, di esprimere l’arte. Questa spiegazione di tipo nazionale, oggi giudicata un’eccessiva generalizzazione, ha colto comunque la questione dell’originalità del ritratto spagnolo. Dice il curatore della mostra Javier Portus: “Nella tradizione artistica occidentale la qualità è spesso sinonimo di originalità, e l’arte è vista come un continuo processo di rottura con precedenti modelli. I migliori ritrattisti spagnoli sono stati profondamente originali, elaborando una visione molto personale dell’arte e della vita”. I motivi della predilezione di questi grandi pittori verso il ritratto rimangono ancora una questione aperta e la mostra, con un insieme di opere davvero formidabile, grazie anche alla sede dell’esposizione, il Prado, che ospita la più importante collezione d’arte spagnola al mondo, costituisce il primo tentativo di fare chiarezza attraverso un’indagine complessiva.
Il ricco catalogo dell’esposizione aiuta a individuare alcuni aspetti importanti: la funzione propagandistica e di prestigio sociale dei ritratti ufficiali, che va di pari passo con la presenza di una corte stabile in Spagna sin dalla metà del Cinquecento e con la scarsa propensione a utilizzare temi mitologici o storici per rappresentare l’identità del paese. Sono affrontate poi le reciproche influenze tra pittura, letteratura e drammaturgia e soprattutto i percorsi degli artisti, per arrivare a tratteggiare una storia del ritratto in Spagna.
Percorriamola dunque, questa storia. Si parte con alcuni dipinti religiosi della fine del Quattrocento, di Bartolomé Bermejo e Pedro Berruguete. Quest’ultimo lavorò alla corte urbinate di Federico da Montefeltro, realizzando il ritratto del duca e di suo figlio Guidobaldo (Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, stranamente non in mostra) e, assieme a Giusto di Gand, la serie degli “Uomini illustri” nello Studiolo di Palazzo Ducale, che ora è divisa tra la sede originaria e il Louvre di Parigi (quattordici dipinti ciascuno). Bermejo subì soprattutto l’influenza della pittura fiamminga, anche se lavorando in patria. In questo periodo, e fino agli anni Trenta del Cinquecento, l’influsso della pittura del Nord Europa su quella spagnola fu infatti molto forte: grazie ai contatti dinastici e alla supremazia sulle Fiandre affluirono in Spagna molti dipinti di artisti straordinari come Rogier van der Weyden, Jan van Eyck (che nella prima metà del Quattrocento di fatto inventarono il ritratto occidentale, pensiamo ai “Coniugi Arnolfini”della National Galley di Londra) o di pittori contemporanei come Jan Gossaert detto Mabuse e Hieronymus Bosch.
A dettare significativamente una svolta, fu il grande Tiziano. Il pittore veneziano incontrò Carlo V alla sua incoronazione a Bologna nel 1530, dove lo ritrasse per la prima volta. La particolarità del ritratto tizianesco era quella di saper sapientemente conciliare realismo, introspezione psicologica, gusto estetico e celebrazione: rimane famoso il suo modo di trasformare i difetti fisici dell’imperatore, l’enorme scucchia, il labbro sporgente tipico degli Asburgo, in un segno di grande dignità e maestosità, per esempio nel Carlo V a cavallo del Prado (non in mostra, ma che facendo pochi passi si può andare ad ammirare tra la collezione permanente del museo).
Ebbene prima con Carlo V, poi con suo figlio Filippo II, la corte di Spagna fu invasa dalle opere del Cadorino, molte delle quali purtroppo finirono distrutte nei numerosi incendi che devastarono i palazzi reali, come quello del Pardo (non il Prado) e dell’Alcazar di Madrid: un esempio per tutti la serie dei Dodici Cesari, che ora non esiste più, dipinta da Tiziano per il gabinetto di Federico II Gonzaga a Mantova e andata distrutta in Spagna. L’influenza dell’artista italiano fu in ogni caso straordinaria e continuata nel tempo: abbastanza ingenerosamente essa è testimoniata in mostra dal solo ritratto di Filippo II, del Prado.
Interessante è la seguente affermazione di Leticia Ruiz nel saggio sulla pittura di questo periodo: “Il vecchio principio “Regis imago rex est” (l’immagine del re è il re stesso), particolarmente importante per un “re assente” come Carlo V, diventa ancor più rilevante per un “re nascosto” come Filippo II”. Il riferimento qui è al fervore religioso del re e ai suoi frequenti esili volontari nel monastero dell’Escorial. Il sovrano, così estraniato dalla realtà delle cose, anche nei ritratti assume una distanza esistenziale dal resto dei suoi sudditi, per diventare il simbolo della grazia divina ricevuta.
Ma, citando dalla Storia d’Europa di Norman Davies, “se Filippo non sorrise mai alla Spagna, non lo fece neppure Dio”: dopo la sconfitta dell’Invincibile Armata nel 1588, si affacciò una crisi generale. E’ curioso che al profilarsi di un declino politico corrispose presto uno sviluppo artistico senza precedenti in Spagna: certo, dopo la morte di Tiziano e del più modesto pittore di corte Antonio Moro (il fiammingo Anthonis Moor, preferito da Filippo II come ritrattista e allievo di Jan van Scorel), la loro eredità fu contesa da una generazione di artisti spagnoli ancora legati alla tradizione precedente, codificata da Sànchez Coello (in mostra “Le infante”, dal Prado) e dalla grande vecchia Sofonisba Anguissola. Intanto però era passato “l’alieno” El Greco (che in Italia si dichiarava discepolo di Tiziano e di cui in mostra sono esposti sei ritratti, fra cui il Frate Paravicino dal museo di Boston e Jorge Theotocopuli, dal museo di Siviglia): la sua difficile pittura, se nel breve periodo non potè attecchire nell’austera corte spagnola, suggestionerà con le sue sperimentazioni molte generazioni di artisti, soprattutto dopo la sua riscoperta relativamente recente.
Con l’arrivo di Velazquez a corte nel 1623, poi, le cose cambiarono radicalmente. Come spiega Alfonso Peréz: “a parte la famiglia reale, verso cui dovette mantenere una certa distanza rispettosa, Velazquez si dimostrò presto uno straordinario interprete dell’anima umana. Lo dimostrano, tra tutte, due opere in mostra: il ritratto della Madre Venerabile Jeronima de la Fuente (Prado), a cui il pittore fa brandire un crocefisso come un’arma del suo fervore religioso e l’intimo ritratto di Luis de Gongora (Boston, Museum of Art)”. Col tempo anche i ritratti di corte diventano più distesi, meno formali: è il caso del ritratto di Filippo IV in abito da campagna (Sarasota Museum of Art) o di quelli superbi, dei buffoni (come quello di Caballacillas, dal Prado). In generale la mostra ha raccolto una serie davvero formidabile di ritratti di Velazquez, tra cui un recente acquisto del Prado, il “Barbiere del papa”, mentre manca il ritratto dell’imperscrutabile conte-duca (un titolo di fantozziana memoria) de Olivares, primo ministro di Filippo IV e di fatto l’uomo più potente del regno. Purtroppo non è in mostra neppure l’Innocenzo X della Galleria Doria Pamphilj di Roma, uno dei suoi capolavori.
Il Barocco, grazie anche alla presenza per quasi tutto il 1628 di Rubens a Madrid, comincia ad affacciarsi in Spagna, tuttavia lo sfarzo caratteristico di questo stile avrà fatica ad affermarsi nel genere del ritratto a sfavore dell’austerità imperante: nel capolavoro di Velazquez, Las Meninas (presente in mostra, dal Prado), l’incrocio degli sguardi e dei movimenti, i giochi prospettici e illusionistici sortiscono però un effetto che del Barocco è tipico. Questo dipinto fu così descritto da Luca Giordano: “La teologia della pittura. Nel senso che, così come la teologia è la massima scienza, questo quadro è il massimo nella pittura”.
E’ questa l’epoca d’oro della pittura spagnola, l’epoca di Jusepe de Ribera, detto a Napoli lo Spagnoletto (in mostra c’è un Gesuita dal Museo Poldi Pezzoli di Milano, ma manca il giovane “Storpio” del Louvre, forse il suo più bel ritratto), di Francisco de Zurbaràn (suo il don Alonso de Albornoz, della Gemaeldegalerie di Berlino) e di Bartolomé Esteban Murillo (“Quattro figure” dal museo di Forth Worth, Texas e un “Bambino” dalla National Gallery di Londra). L’esposizione è poi costretta dalle circostanze (se si vuole inseguire l’altissima qualità) a fare due salti di circa un secolo ciascuno: prima con Francisco Goya, la grande personalità della pittura spagnola dopo l’epoca d’oro, e infine con Pablo Picasso, il pittore-icona del Novecento.
All’epoca di Goya, Velazquez era diventato in Spagna una leggenda irraggiungibile, il “maestro dei maestri”. Goya però seppe reggere egregiamente il confronto, diventando, più di quanto lo era stato Velazquez, l’impietoso osservatore della famiglia reale e di un’epoca ormai sulla via del tramonto. Del maestro spagnolo sono esposti in mostra moltissimi ritratti, a partire dai due famosi della duchessa d’Alba (Madrid, Fondazione Casa de Alba e New York, Hispanic Society) e dai ritratti di famiglia (quello della famiglia di Carlo IV, del Prado e quello della famiglia dell’Infante don Luìs, della Fondazione Magnani a Mamiano, Parma). Ma Goya è stato anche il tormentato cantore degli orrori della guerra civile che seguì l’invasione delle truppe della Francia rivoluzionaria, l’iniziatore di un’arte con un forte sfondo pessimista, che vede però un riscatto proprio nell’impegno politico. Un simile orrore lo proverà Picasso davanti agli eventi della Guerra civile del 1936-39, con la violenza indiscriminata dei fascisti e dei nazisti. Ma pregno di un pessimismo esistenziale lo era stato già il suo periodo “Blu”, quello delle bevitrici d’assenzio, dei mendicanti ciechi e dei diseredati. Tra le opere del grande pittore di Malaga in mostra figurano il tardo ritratto di Gertrude Stein (New York, Metropolitan), l’Autoritratto (Parigi, Museo Picasso) e la Donna in blu del Museo Reina Sofia.
Certo, sarebbe assolutamente scorretto guardare l’opera di Picasso come se fosse il frutto esclusivo di un “genio spagnolo”, che parte da Velazquez passando per Goya. Una ragione per tutte: le influenze della pittura moderna dell’Ottocento, che sono fortissime. Però c’è forse qualcosa di più che una semplice analogia di soggetto fra i giovani mendicanti di Murillo e Ribera e quelli contorti e trasfigurati di Picasso. Probabilmente a darci una risposta sarà proprio la mostra in questione. (Dario Pasquini) da kataweb




 
 
 

 


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